Allenarsi in sicurezza – Norme Anti Covid

 

L’Aikido è classificato come “Sport di contatto” dal Decreto di attuazione del Ministero dello Sport del 13/10/20.

Per garantire che la pratica dell’Aikido si svolga nel rispetto dei protocolli anti-covid, come richiesto dal D.L. 52 del 22/04/21 art. 9 comma 2, (accesso alle strutture al chiuso in cui si praticano differenti discipline), i soli i praticanti di età superiore ai 12 anni dovranno essere muniti di uno dei seguenti certificati:

  • Green Pass
  • Certificato di avvenuta guarigione da COVID-19
  • Certificato di effettuazione di test negativo al virus SARS-CoV-2 (rilasciato nelle 48 ore precedenti)

Va sottolineato che il D.L. 105/21 esonera da queste certificazioni i soggetti esenti per età dalla campagna vaccinale e quelli non vaccinabili – dietro presentazione di certificato medico – ed è’ previsto successivamente che anche a questi soggetti venga rilasciato il Green Pass.

Per accedere alle strutture al chiuso sono dunque richiesti il possesso di una delle 3 certificazioni (o l’esenzione) e la misurazione della temperatura corporea, che non deve superare i 37,5 gradi.

Verranno inoltre adottate tutte le buove pratiche di prevenzione al fine di garantire lo svolgimento della pratica in massima sicurezza , come l’igienizzazione delle mani all’ingresso e la disinfezione dei tatami ad ogni fine lezione.

Nella nuova sede dell’Aikikai Napoli è infine stabilito un numero massimo di 25 praticanti per ogni sessione di allenamento.

Allegati: Progetto Aiki, Protocollo per la pratica dell’aikido in presenza di rischio di contagio da virus Sars-cov2.

Fonti:

Inizia, nonostante ogni difficoltà, un nuovo anno di aikido. Alcune informazioni…

Per ulteriori informazioni sulle linee guida ed protocolli anti-covid si veda anche:

Struttura di un Dojo

di Rino Bonanno

L’area deputata all’esercizio marziale nella tradizione Giapponese è denominata Dojo 道場 (luogo dove si segue la Via), intendendo con questo termine oltre ad un luogo fisico, anche una zona permeata di sacralità, dove i praticanti si trovano ad esprimere le proprie energie al conseguimento della maestria nella loro arte e al superamento della stessa.

L’Aikido,  合気道 in quanto arte tradizionale giapponese, si pratica anch’essa in un Dojo.

Tale luogo deve necessariamente avere una configurazione ed una struttura atta a svelare il proprio significato spirituale se vuole meritare l’antico appellativo Buddhista di Dojo.

Molti praticanti di arti marziali hanno dimenticato la sacralità del luogo che li accoglie.

Sappiamo tutti che all’interno del Dojo va praticato il silenzio e forme di rispetto le cui regole confluiscono nel campo più ampio dell’etichetta, ma certamente non è solo l’osservanza a tali norme che definisce un luogo “sacro”.

Intendiamo proprio affermare che un Dojo deve avere una conformazione architettonica che lo rende, al pari di un tempio, chiaro nei suoi disegni spirituali.

Deve cioè esprimere nella sua struttura l’organizzazione stessa dell’Universo.

In contrapposizione all’ uomo occidentale, che vede nel Sud, dimora della massima luce solare, l’espressione del Divino (Egizi, Incas ed altre culture), l ’orientale, invece, ascrive al Nord, dimora della notte, il massimo della valenza spirituale.

Egli considera la luce solare un evento esteriore della Natura.
Afferma che l’oscurità della notte va rischiarata dalla luce interiore e divina.
Questa premessa è necessaria per comprendere l’assegnazione degli spazi all’interno di un Dojo.

In relazione a ciò che è stato detto appare chiaro che una sala con le sue quattro pareti avrà un orientamento in base ai quattro punti cardinali e che il Nord sarà il lato superiore  Kamiza  ed il Sud, il lato inferiore  Shimoza , da un punto di vista squisitamente spirituale, il lato Est è detto Joseki ed il lato Ovest è lo Shimoseki.


N.B.

Come evidenzia Dave Lowry nel suo  libro “In the Dojo”, le diverse aree del Dojo sono da alcuni ricondotti alla cosmologia Taoista. In particolare alcuni ritengono che kamiza si possa ricondurre al Nord, ovvero all’elemento “acqua”. Dal lato opposto shimoza sarebbe dunque da considerarsi Sud, a rappresentare l’elemento “fuoco”. Joseki sarebbe l’Est, correlato all’elemento “legno” e shimoseki l’Ovest, correlato all’elemento “metallo”. La zona centrale, dove si svolge la pratica, è ricondotta appunto al centro, ovvero alla Terra, il quinto elemento.

Per la cosmologia Taoista infatti l’interazione di Yin e Yang è espressa attraverso cinque manifestazioni base dell’energia, i cinque elementi. Il termine non si riferisce ai cinque elementi base che si possono trovare ovunque in natura, ma è una metafora, si riferisce ai cinque modi attraverso cui il Qi si esprime nell’universo. I cinque elementi sono semplicemente gli emblemi di rappresentazione delle cinque fasi di movimento del Qi.

La prima fase corrisponde all’energia a riposo, in un estremo stato di quiete e concentrazione. Questa fase è identificata con l’acqua, in quanto l’acqua è un elemento che, se indisturbato, diviene spontaneamente calmo e statico. La seconda fase è lo sviluppo della prima: se l’energia è completamente in quiete, ha un enorme potenziale, che prima o poi si manifesta. Questa seconda fase corrisponde dunque all’esplosione dell’energia, ed è rappresentata dal legno, in quanto gli alberi tornano in attività in primavera, dopo il riposo invernale. L’esplosione di attività nella fase Legno non dura per sempre, prima o poi l’energia si stabilizza ed inizia una fase di equilibrio in cui l’energia fluisce con uniformità mantenendosi costante. Questa terza fase corrisponde al fuoco, in quanto il fuoco è un elemento in grado di sostenere un alto livello energetico per lunghi periodi. Mentre il Fuoco rilascia tutto il suo potenziale energetico inizia a degenerare nella quarta fase, in cui l’energia si condensa. È la fase del metallo. È rappresentata dal metallo in quanto esso è uno stato di energia altamente condensato. La quinta fase energetica corrisponde al momento in cui sopraggiunge equilibrio, armonia e interconnessione tra tutti gli altri quattro stati. energetici. Questa fase finale è rappresentata dalla Terra, ovvero il frutto della combinazione degli altri elementi.
Per chi studia Aikido è chiaro che questi elementi possono ritrovarsi nei 5 principi da imparare ( ikkyo/nikyo/sankyo/yonkyo/gokyo) in relazione anche alle 5 kamae di ken…

Riprendendo il discorso,  Kamiza 上座 è il lato superiore posto a Nord, privo di finestre, che non riceve la luce solare, ma è illuminato dalla presenza dei Kami o Divino. Da qui scaturisce l’insegnamento!
E’ qui che si siede il Maestro, che è l’unico a dare le spalle allo Shinden 寝殿 (altare) che nei Dojo di Aikido accoglie una calligrafia o la foto di O Sensei.
Sempre dal lato del Kamiza vi è il Tokonoma 床の間 (spazio sopraelevato).

Si comprende che il Maestro rappresenta il punto di unificazione tra O Sensei, in quanto incarnazione/simbolo della Via ( Do) e gli allievi, posti non solo lontano, ma al lato opposto del Centro spirituale, ma in grado di poter vedere la luce che da essa emana.

Shimoza, la parete Sud, è il lato inferiore dove si siedono gli allievi.

E’ da qui che essi accedono al Dojo attraverso un ingresso da cui può entrare la luce solare (esteriore), che avranno alle spalle, mentre il loro sguardo sarà rivolto di fronte alla luce interiore del Kamiza.
Gli allievi Anziani o Sempai 先輩 siedono più vicini alla parete Est Joseki, dove, per altro, prendono posto gli assistenti.

E’ da Est che sorge il sole, quasi a voler significare che gli assistenti e i gradi avanzati sono illuminati per primi rispetto ai gradi più bassi o Kohai 後輩 , che invece sono più vicini alla parete Ovest o Shimoseki al tramonto.
Sono ancora all’oscuro della luce della Via.

E’ singolare che l’ingresso del Maestro nella sala è posto sulla parete Ovest in modo che il Maestro dia le spalle al tramonto e di conseguenza all’oscuro.
E’ implicito che il Maestro essendo più avanti nella Via è anche quello più vicino al centro spirituale, rappresentato dallo Shinden.

N.B.

Elementi del KamizaKamidana: è il ripiano sottostante per posizionare il tempio e gli altri elementi che costituiscono il kamiza, ognuno dei quali ha un significato specifico che nella tradizione deriva essenzialmente dal culto giapponese Shinto (in altri casi anche buddista).

Shimenawa: uno degli elementi difficilissimi da trovare in occidente, è un grosso pezzo di corda intrecciata paglia di riso identifica come un luogo sacro, secondo l’uso di Shinto. Indica la presenza del “kami”, o spirito del luogo. Serve a tenere fuori le impurità purificando inoltre lo spazio circostante.

Shinden: struttura simile a un tempio, situata al centro del kamiza, dove risiede lo spirito (ofuda) che controlla e si preoccupa dei nostri progressi nella pratica marziale.

Ofuda: amuleto che rappresenta lo spirito che risiede nel kamiza, che fornisce buona fortuna e protezione. Viene collocato all’interno del tempio (Shinden).

Kagami o Shinkyo: un altro importante ed essenziale elemento, costituito da un piccolo specchio rotondo che rispecchia la nostra anima immortale e allo stesso tempo ci ricorda l’impermanenza, la transitorietà della nostra esistenza. Tutte le qualità sono riflesse nello specchio e le possiamo notare quando lo guardiamo. Rappresenta un riflesso del nostro vero cuore e immacolato spirito.

Kagaribi: lampadari per candele, normalmente ne vengono utilizzati 2, 3 o 5 secondo la tradizione del dojo/scuola.

Tomyo: candele che simboleggiano la luce universale. Quando se ne posizionano due rappresentano le energie elementali: In (Yin) e Yo (Yang). Tre invece si riferiscono a Sanshin, i tre cuori. Se collocato cinque candele, vengono associati con i cinque elementi della natura: Chi, Sui, Ka, Fu, Ku.

Foto insegnante/i: nella maggioranza di dojo in Giappone, vengono posizionate le foto degli insegnanti deceduti a sinistra mentre a destra sono collocati quelli ancora in vita.In genere si utilizza la foto del fondatore posta al centro del Kamiza (nel caso dell’Aikido O’Sensei Morihei Ueshiba, così come nello Judo vi si pone il riquadro di Jigoro Kano e nel Karate Gichin Funakoshi).

Shingu: contenitori in porcellana prettamente utilizzati solo in Giappone:

Sakaki Data, vetro che rappresenta i sempreverdi alberi giapponesi, che simboleggiano la presenza della natura e dei nostri legami con essa. Possono essere sostituiti da qualsiasi elemento vivo, come un fiore (dell’arte “ikebana”) o una pianta (ad esempio un “bonsai”).

Mizutama, piccola ciotola rotonda contenente acqua fresca, come offerta al kami.

Tokkuri, piccola fiala chiusa riempita di “o-miki”, speciale “sake” che è stato purificato come offerta al kami.

Sara, contenitore per “oshio” (sale) e “okome” (lavaggio del riso), che rappresentano gli elementi necessari per sostenere la vita.
Come oggetti opzionali è possibile posizionare un oggetto di particolare importanza per il Dojo/scuola (ad esempio un “katana”), o un’immagine del Buddha e un contenitore per i bastoncini d’incenso.


N.B. riassumendo:

Kamiza

Kamiza o Shomen è il lato d’onore del tatami dove siedono i sensei. Questo lato del tatami viene facilmente individuato dalla presenza dell’immagine del fondatore O’Sensei.

  • Virtù: Capacità intuitiva;
  • Elemento: Acqua.

Shimoza

Shimoza o lato degli studenti. Su questo lato del tatami siedono gli allievi, i quali sono disposti dal grado più alto, posto più a destra volgendo lo sguardo alla Kamiza, andando progressivamente a descrescere fino all’allievo più giovane nella pratica posto più a sinistra.

  • Virtù: Intelletto razionalità;
  • Elemento: Fuoco.

Joseki

Joseki è il lato riservato ai gradi superiori e agli ospiti del sensei che visitano il Dojo. La posizione a est nella direzione ove sorge il sole ricorda che chi risiede su questo lato è illuminato prima di coloro che risiedono sul lato opposto (possiedono più esperienza di coloro che iniziano la pratica).

  • Virtù: Virtù e carità;
  • Elemento: Legno.

Shimoseki

Shimoseki è il lato riservato ai principianti della pratica. Il lato ovest “dove il sole tramonta”, ci indica che il calare del sole illumina per ultimo questo lato del tatami (chi risiede su questo lato ha meno esperienza nella pratica).

  • Virtù: rettitudine;
  • Elemento: Metallo.
immagine per cortesia del Dojo Ninkenkai di Lausanne

Disposizione dei Tatami in un Dojo:

L’Aikido si pratica su materassine o tatami (2 x 1 metro), una volta costruite in paglia di riso.

I tatami devono essere posizionati in un ordine preciso al fine di disegnare figure simboliche, che ricordano ai praticanti l’ordine che regola l’Universo. Essi vanno posizionati in quadrati affiancati.

Ogni quadrato deve constare di otto tatami allineati due a due in senso verticale e orizzontale.

Si viene così a creare un simbolo molto conosciuto nella tradizione orientale e che sta a significare la rotazione intorno ad un polo.

E’ chiara la relazione con le leggi dell’Universo.

D’altro canto in rapporto alla concezione degli opposti e complementari, ormai nota ai più, e cioè alla coppia Yin e Yang che, insieme, formano l’unità (tao) si possono considerare passivi o negativi (yin) i tatami orizzontali e attivi o positivi (yang) quelli verticali. Anche qui risulta chiaro il significato intrinseco del simbolo e della forza di tale dipolo. Viene dato un senso del movimento a strutture fisse che è il movimento in natura degli accadimenti (giorno/notte,luce/oscurità,caldo/freddo, etc). Gli allievi di un Dojo, secondo la tradizione più pura inoltre, dovrebbero non soffermarsi mai sulle linee di separazione dei tatami, perseguendo essi l’unità, ma camminare secondo linee parallele alle pareti stesse. Per ogni praticante degno di tale nome il Dojo assume, dunque, una valenza differente.
E’ un luogo da curare, rispettare, pulire e purificare, perché espressione dello spirito di coloro che lo frequentano. La conoscenza della sacralità del luogo spingerà gli allievi al giusto atteggiamento per l’acquisizione della propria arte e dei suoi valori spirituali.
Il Dojo non è una palestra, deve risplendere del lavoro degli adepti.
E’ la nostra seconda casa, quella spirituale, in cui si entra lasciando fuori egoismo, preoccupazioni, competizione e gli affanni quotidiani.

Rino Bonanno

N.B.

Nell’ideogramma 畳,tatami, dal verbo tatamu, ricoprire, sono presenti gli elementi: 田, che rappresenta un campo, una superficie, il simbolo oou, 冖 letteralmente “copertura” e l’elemento 宜,yoroshii, “preciso”. Per quanto riguarda la disposizione, in un appartamento non si pongono mai i tatami in modo di disegnare delle croci con gli stessi, cercando, in pratica, di non avere mai quattro lati che convergono in un incrocio. Questa scelta è per motivi sia pratici che per motivi legati alla superstizione, infatti, tale incrocio oltre a portare sfortuna, forse perché il numero quattro è un numero che porta “male”, è anche molto soggetto a deformazioni per l’uso, in quanto gli angoli del tatami di paglia di riso sono maggiormente vulnerabili proprio in questo punto e posizionarne quattro incrociati creerebbe degli avvallamenti nella copertura del pavimento. Le disposizioni cambiano ingegnosamente a seconda della dimensione dell’ambiente. 

tatami2

La parola tatami è in spesso, utilizzata nel linguaggio anche come riferimento di misura degli ambienti, così se si dice che una stanza è di dieci tatami, o di quattro, l’interlocutore ha ben chiara la dimensione. 
Alcune fonti, riportano tuttavia una disposizione diversa. In un dōjō, i tatami, secondo queste fonti verrebbero infatti posizionati sul pavimento, chiamato embujo, in un ordine preciso, formato da quadrati, ogni quadrato dovrebbe constare di otto tatami allineati due a due in senso verticale e orizzontale per creare un simbolo molto conosciuto nella tradizione orientale e che sta a significare la rotazione intorno ad un polo.

In rapporto alla concezione degli opposti e complementari, nota ai più, e cioè alla coppia Yin e Yang che, insieme, formano l’unità (il Tao) si possono considerare passivi o negativi (Yin) i tatami orizzontali e attivi o positivi (Yang) quelli verticali. In pratica il simbolo della forza di tale dipolo è che viene dato un senso del movimento a strutture fisse che è il movimento in natura di trasformazione degli accadimenti (giorno/notte ; luce/oscurità; caldo/freddo).

tao
E’ ovviamente estremamente importante sottolineare come il carattere cinese per Tao (Dao 道) sia lo stesso ideogramma di Via, 道 dō. E’ in questo simbolo la differenza nell’approccio all’arte: non solo una collezione di tecniche marziali (jitsu), ma un percorso, completo, di confronto, innanzitutto con se stessi, un percorso che “dura una vita” e che nella relazione interpersonale e nello scambio di energie , su ogni piano, su ogni livello, arricchisce interiormente. ( Takemusu Aikido Roma..in parte mia )

Aikido e Bambini

Ognuno di noi come individuo, vale a dire “non divisibile”, unico, ha il dovere di contribuire in qualche misura al miglioramento della comunità in cui viviamo. In qualità di maestri di arti marziali, certamente quello che possiamo fare è rivolgere la nostra attenzione a quelle forze piccole, innocenti, ma al contempo grandi nella loro potenzialità, che corrispondono al “pianeta bambini”

di RINO BONANNO

E’ indubbio che la nostra società, con gli attuali accadimenti degli ultimi anni, vive momenti difficili se non oscuri e di incerta comprensione. Sembra che non ci sia un assestamento né sociale né individuale che possa soddisfare le spinte spirituali verso cui naturalmente gli esseri umani sono sospinti. Ognuno di noi come individuo, vale a dire ” non divisibile”, unico ha il dovere di contribuire in qualche misura al miglioramento della comunità in cui viviamo.
In qualità di maestri di arti marziali, certamente quello che possiamo fare è rivolgere la nostra attenzione a quelle forze piccole, innocenti, ma al contempo grandi nella loro potenzialità, che corrispondono al “pianeta bambini”… il mondo di domani, forse una società differente.
Certo lo sport, quello cosidetto minore, non asservito a logiche economiche e ad alti interessi in questo senso, privo di corruzione che tanto serpeggia altrove, può dare un contributo educativo notevole allo scopo che ci siamo prefissi: creare nel nostro piccolo i mattoni di un mondo diverso, più giusto affinchè risaltino cristallini i valori etici. Senza dubbio molti maestri di arti marziali hanno ben definita questa autoconsapevolezza, che li spinge con gioia ai sacrifici e alla pazienza che richiede l’educazione dei nostri piccoli allievi.
Il lavoro di noi maestri ha sempre presente un solo fine, curare certo il corpo, ma soprattutto l’autostima e la mente del bambino affinchè da adulti saranno persone oneste e sincere.
Vorrei a questo punto elencare quelli che sono i diritti dei bambini:
Diritto di divertirsi e di giocare
Diritto di vivere lo sport
Diritto di beneficiare di un ambiente sano
Diritto di essere trattato con dignità
Diritto di essere allenato e circondato da persone qualificate
Diritto di seguire allenamenti adeguati ai propri ritmi
Diritto di misurarsi con giovani che abbiano la stessa probabilità di successo
Diritto di partecipare a manifestazioni adeguate e gioiose
Diritto di partecipare in sicurezza e serenità
Diritto di avere tempi di riposo
Diritto di non essere un campione
Diritto di divertirsi e di giocare

L’ Aikido si può considerare come un complesso spartito musicale, la cui lettura consente al principiante un’interpretazione che agisce, in ultima analisi, sull’ intelligenza creativa, sulle emozioni e sulla rivisitazione dell’esperienza e del vissuto, modificando nel percorso lo status pregresso e influenzando la qualità del nuovo agire.
L’ Aikido è utile al potenziamento ed alla coordinazione delle qualità psicofisiche del bambino, concedendolo ad un rafforzamento progressivo della volontà e della concentrazione. Attraverso il laboratorio corporale, basato sulla espressività del movimento e sull’alibi marziale, utilizza la visualizzazione mentale, i colori ed i suoni, nonchè lo studio precipuo sui vari aspetti della relazione e del ruolo, educando così il principiante ad un corretto rapporto tra il riconoscimento della propria identità e la socializzazione.
Lavorando sui segmenti del gesto, così come su una partitura musicale, il bambino realizza un’azione efficace destinata al successo che implementa la sua consapevolezza e l’ascolto della propria energia in relazione all’evento esterno. Pensiamo all’ educazione dei bambini samurai di un tempo e come è attuale il tutto. Noi in Aikido non ci discostiamo troppo da ciò che segue:
C’è un modo di educare i figli dei samurai, come conviene alla loro classe sociale: per prima cosa bisogna insegnare loro ad essere coraggiosi sin da bambini.
Non si deve impaurirli o dir loro delle bugie neanche per scherzo. Se si diventa paurosi da piccoli, non si guarisce per tutta la vita.
Genitori imprudenti insegnano ai bambini ad avere paura dei lampi e dei tuoni e raccomandano loro di non andare al buio. E’ ancora più disastroso raccontare loro fatti paurosi per farli smettere di piangere.
Se si rimproverano troppo duramente i bambini finiscono per diventare timidi.
Bisogna educarli a non prendere brutte abitudini dalle quali è difficile liberarsi anche da adulti.
I bambini debbono imparare gradualmente un buon linguaggio e la cortesia, evitando l’avarizia e l’egoismo. Se nascono in una famiglia normale e ricevono una simile educazione, crescono in modo ideale. E’ naturale che i figli di genitori che non vanno d’accordo tra loro manchino di pietà filiale.
Anche gli animali e gli uccelli, fin dalla loro nascita, crescono imitando quanto sentono e vedono.
Per di più ci sono delle mamme insipienti che mettono in contrasto il padre con i figli. Quando le mamme amano in modo esagerato i loro bambini, cercano di proteggerli se vengono rimproverati dal padre. Tali madri col loro modo superficiale di vedere le cose si appoggiano ai figli confidando in loro per l’avvenire.

Copyright Rino Bonanno© 2012

 

Il ruolo di Uke

Nelle arti di combattimento, per potere avanzare c’è bisogno di un partner che riceva l’azione aggressiva.
Questo ruolo è ricoperto di volta in volta dallo stesso praticante che in giapponese viene definito “ Uke” 受け ( ricevere ) e “ Ukemi “受身 è l’arte di ricevere, anche se il termine designa le classiche cadute da proiezione.

In effetti Ukemi rappresenta l’azione ultima dell’arte del ricevere : le cadute.
Le arti marziali sono discipline  che prevedono una persona, un’anima, a prima vista sacrificata, per potere apprendere l’arte.Nessun’altro sport prevede questa figura!
Colui che “ riceve “ però sarà colui che “darà” dopo.
Qual è dunque il concetto di Uke e Ukemi.

“ Ricevere e cadere per poi rialzarsi e dare”

L’Aikido è un’arte marziale di difesa e non si può praticare senza la presenza di un partner.
E’ vero che alcuni esercizi tesi a valutare la propria forza e capacità tecniche possono essere compiuti da soli, ma per un training ottimale è richiesta l’interazione tra Uke  受け  ( colui che riceve ) e Tori o Nage 投げ ( colui che dà ).
Non bisogna fare l’errore di semplificare le definizioni di Uke e Tori in “ attaccante” e “difensore”.
Ragionando in tali termini si finisce con l’identificare Tori come colui che viene attaccato ed esegue la tecnica e Uke come una specie di manichino con cui Tori si esercita.
Letteralmente invece, ed è sottile la differenza, Tori significa “colui che proietta” e Uke “colui che riceve la forza”.L’arte di essere uke si dice “ Ukemi” e la qualità della pratica di Tori dipende da come Uke ha imparato quest’arte.
E’ come dicono i maestri “ Uke è il seme di Tori”.
E’ singolare come nella nostra società, al di fuori delle arti marziali, questo ruolo di uke non voglia essere più ricoperto…tutti vogliono essere subito i vincitori, senza percorrere la difficile via dell’apprendistato, al contrario della società giapponese, dove tale ruolo è di fondamentale importanza per poi diventare dirigente o maestro di qualsiasi arte.
Ricordo che da giovane amavo la pesca subacquea, che praticavo anche d’inverno e per imparare l’arte ho fatto da “uke” ad un noto campione campano…in umiltà, iniziando come barcaiolo per ore ed ore sotto il sole d’estate o la pioggia d’inverno ( appena pioveva il mio maestro voleva che andassimo in mare!). come suo Uke ho rubato il mestiere che a dir il vero comunque mi prodigava come suo paziente allievo.
Allora praticavo già Aikido negli anni ’70 e mi è stato facile comprendere cosa si nascondeva dietro il concetto di Uke..il senso ed il valore di questo ruolo…ma torniamo all’ambito marziale.
L’Uke deve reagire correttamente ai movimenti di Tori, accettando qualsiasi tipo di caduta che conclude la tecnica.

Uke è responsabile delle condizioni che consentono a Tori di imparare.

Se Uke non ha la percezione giusta ( richiede la conoscenza nei minimi dettagli di una tecnica) se non ha il senso degli effetti della tecnica, se non ha flessibilità fisica e mentale, se si muove prima o dopo, se non ha il senso del tempo, Tori non sarà più in grado di apprendere una tecnica con efficacia.
La gente vede solo il lavoro di colui che esegue la tecnica e non si rende conto del grosso è più lavoro di uke, che apprende ciò che è dietro la tecnica stessa, fattori più interiori.
I ruoli nell’Aikido come nel Judo sono interscambiabili cosicché l’apprendimento a più livelli coinvolge ogni atleta. Essere Uke fa sì che siano coinvolti più sensi oltre quelli fisici. E’ una forma di sensibilizzazione eccezionale che tocca le sfere più nascoste.
Il doversi rapportare di volta in volta a persone a volte alte a volte basse di statura, di sesso diverso, fragili o forti, simpatiche o antipatiche, di età diversa richiede pazienza e accettazione..il rapporto non è verbale ..è un vero contatto fisico e di mente..unificare la propria respirazione all’altro è come mettersi sulla sua lunghezza d’onda. ed è indubbio che i praticanti ad alto livello di arti marziali e nello specifico dell’Aikido, che dà molta importanza a questi aspetti , siano persone di una sensibilità e comprensione particolare.
Quest’addestramento purtroppo manca a molti atleti di altri sport e purtroppo anche a chi fa politica.
In Giappone è frequente che i dirigenti pratichino un’arte marziale!
Rispetto a noi però i dirigenti nipponici danno largo spazio a coloro che fanno il lungo apprendistato da uke e permettono loro spazi dirigenziali più ampi..da noi e soprattutto nell’ambito marziale si tende sempre a tenere nel ruolo di uke colui che sul campo ha conquistato con fedeltà e dedizione il successivo e meritato ruolo di maestro o dirigente!
Il tempo, dunque che uke passa nel suo ruolo non è una sorta di intervallo che lo separa dal momento in cui ricoprirà il ruolo di tori, colui che esegue la tecnica, quanto al contrario un’opportunità di imparare l’importanza del ruolo di Uke.
Chi eccelle nell’arte di ukemi eccellerà di più nell’arte di Tori, perché saranno più abili nell’assorbire la conoscenza, attraverso il corpo, delle sensazioni che si provano durante una tecnica ben eseguita. Essere un buon uke, quindi ricevere è la via più breve per acquisire abilità in Aikido e quindi poi dare l’arte a sé stessi ed agli altri, cioè diventare Maestro.
Subire poi le cadute “ le ukemi” non significa perdere. E’ uno studio sulla comunicazione, sulla percezione, sulla capacità dell’autoconservazione.

Saper cadere bene, senza ingiurie, significa sapersi rialzare con più autostima e fiducia in questa società.

(Rino Bonanno)

L’uniforme nell’Aikido

 Keikogi 合気道着

 L’Aikido si pratica indossando un’uniforme chiamata in giapponese keikogi 稽古着 nello specifico un aikidogi (合気道着), letteralmente divisa per allenamento…a dire il vero.. divisa per il Keiko, dove Keiko significa letteralmente pensare alla maniera degli antichi maestri, e non Kimono 着物, termine che, seppure entrato nell’ uso corrente, sta a significare un altro tipo di indumento.

l Il keikogi tradizionale deve essere di colore bianco (simbolo di purezza) e fatto di cotone intrecciato in modo che possa, durante l’allenamento, favorire da un lato la traspirazione e dall’altro, l’assorbimento del sudore.

E’ costituito da una giacca o uwagi, da un paio di pantaloni o zubon e da una cintura detta obi.

E’ singolare che tutti i praticanti di un’arte marziale si conformino allo stesso vestito, ma è chiaro il significato.

In Oriente, ma anche in Occidente nei tempi addietro la società era divisa strettamente in classi con abiti corrispondenti al proprio rango sociale.

Nei dojo tradizionali di allora, come di oggi, l’uniformarsi allo stesso indumento valeva ad abbattere il concetto di una differenzazione classista. Ciò che vale è solo il progresso nell’apprendimento dell’arte e questo è definito in qualche modo dal colore della cintura.

A dire il vero ai tre colori tradizionali: bianco, marrone e nero si sono aggiunti un’infinità di altri colori qui in Occidente, ma per fortuna non nella sfera Aikidoistica.

Gli yudansha (gradi dan) o “cinture nere” indossano anche l’abito tradizionale dei bushi l’hakama.

Il bianco gi non deve essere inquinato da distintivi o patacche che non hanno nulla a vedere con la tradizione. Deve essere immacolato e sempre tenuto in ordine.

 

Origini

E’ molto probabile che dobbiamo l’attuale nostra uniforme ai monaci guerrieri, i quali avevano l’abitudine  di allenarsi,svestendosi dei loro abiti al fine di evitare distinzioni dovute al colore dei loro indumenti e che, come sappiamo, indicavano la carica ricoperta nell’Ordine.

Restavano così in sottoveste che tra l’altro era più pratico per combattere.Conservavano però la loro sciarpa o kesa ( kasaya in sanscrito ) che usavano annodarsi in vita e che originò l’attuale cintura.

Nessuno doveva distinguersi per il ruolo ricoperto.In un dojo tutti sono uguali. La nascita del keikogi bianco nasce poi verso la fine degli anni ’80, ereditato dalle varie scuole di ju jitsu, che fino ad allora usavano sì l’attuale tenuta, ma di colori diversi a seconda della scuola.Con l’unificazione di vari metodi di ju jitsu nell’attuale judo nasce il bianco gi.

Il colore bianco indica la purezza, ma è anche il colore del lutto in Giappone.

I morti sono vestiti di bianco.

Questo indica che siamo pronti a non attaccarci troppo alle cose terrene e a far morire l’Ego.

La differenza sta che il lato sinistro del nostro keikogi va sul destro a differenza dei morti che hanno la parte destra della giacca su quella sinistra.Anche nel Karate si usa un keikogi simile al nostro, ma più leggero.

La storia dice che Gichin Funakoshi, il fondatore moderno del Karate, fu invitato ad Okinawa in Giappone a tenere una dimostrazione presso il Kodokan di Jigoro Kano, fondatore del Judo.

Fino ad allora in Okinawa ci si allenava a torso nudo e pantaloni corti, dato il caldo umido di quelle zone.

Fu Funakoshi che in quella occasione, ispirandosi alla divisa del Judo , confezionò l’attuale karategi solo più leggero per agevolare i movimenti.

Si dice che quando Funakoshi vide gli altri marzialisti nelle loro divise bianche inviò alcuni dei suoi al mercato per comprare delle stoffe bianche e far confezionare velocemente i keikogi.

Cintura 帯

In Aikido si utilizza la cintura bianca fino al 1° Kyù e nera per i gradi dan.
Va annodata al di sotto dell’ombelico.La cintura rappresenta la nostra maestria nell’arte e quindi non solo non va prestata, ma tradizionalmente neanche lavata.

Lavare una cintura è come eliminare l’esperienza e il sudore che essa conserva.

Ha un grande significato ed è il Maestro che per tradizione la regala alle cinture nere.

Hakama 袴

I gradi dan indossano oltre il keikogi anche l’hakama,( nello specifico umanori 馬乗り- una specie di gonna pantaloni,di colore nero o blu – per distinguerla da un altro tipo di hakama non divisa detta gyōtō hakama ( 行灯袴)

E’ forse il più tradizionale degli indumenti e molte arti, oltre l’Aikido, la utilizzano.

L’hakama si indossa solo quando si diventa cintura nera e nessun praticante serio, maschio o femmina, si sognerebbe di indossarla prima del tempo.

L’hakama porta davanti una serie di cinque pieghe e due posteriori, in tutto sette.

Queste pieghe rappresentano le sette virtù dei praticanti di arti marziali e ogni cintura nera deve conoscerneil significato, affinchè non si consideri l’hakama solo un segno distintivo o di prestigio.

Essa deve indurre all’umiltà e a perseguire i valori che racchiude nelle sue pieghe. Essa li rammenta a noi.

Jin (benevolenza) – Rei (etichetta e gentilezza) – Gi (giustizia) – Chi (saggezza) –Shin (sincerità)- Koh (pietà) – Chu (lealtà)
( Jin-Rei-Gi-Chi-Shin: pieghe anteriori – Koh-Chu: pieghe posteriori)

Ed è anche per questo che gli yudansha alla fine della loro lezione mettono così tanta attenzione nel riporre al posto giusto le pieghe della loro hakama.E’ un modo, nel ripiegare la propria hakama, di rammentarsi dei valori che perseguono.

( Rino Bonanno )
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Vari tipi di Keiko

VARI TIPI DI KEIKO IN AIKIDO PRATICATI NEL NOSTRO DOJO

1) Il Kata -geiko è l’allenamento di base, si praticano le tecniche così come sono state tramandate; secondo un certo ordine, senza variazioni, con un certo ritmo. Sostanzialmente l’allenamento Kata (kata-geiko) serve per imparare, memorizzare per poter trasmettere.

2) Il Kagari-geiko è l’allenamento di gruppo e si può praticare linearmente, in cerchio oppure a croce.La pratica lineare consiste nel disporre in fila i vari attaccanti, i quali attaccheranno uno per volta, in sequenza.
Nel modo circolare gli attaccanti (uke) si dispongono intorno a colui che si difende (tori) e colpiranno o attendendo uno sguardo di tori, oppure di propria iniziativa (attaccando anche due o tre per volta!).
Scopo del kagari-geiko è di far acquisire al praticante la percezione spazio-temporale, con il tempo imparerà a diminuire il tempo di reazione, ad aumentare la varietà di tecniche utilizzate e ad avere più coscienza dello spazio circostante.

3) L’Oyo-geiko è un metodo di allenamento che consiste nell’applicazione di una certa tecnica variando il tipo di attacco rispetto a quello ideale, cioè tramandato, codificato. Ciò consentirà di padroneggiare completamente una tecnica. Con il tempo il praticante si specializzerà in un gruppo ristretto di tecniche (non più di dieci o quindici) che “sicuramente” riuscirà ad applicare contro diversi tipi di attacchi. In questa fase ci si appresta ad abbandonare “la base” studiata per tanto tempo (almeno dieci anni), con tanta perfezione.

4) Il Renzoku-geiko (allenamento di “concatenamento” della tecnica di difesa) consiste in una prima applicazione della tecnica di base, codificata, che verrà tempestivamente modificata in un’altra tecnica di base quando colui che si difende (tori) si accorgerà della mancanza di un elemento necessario all’applicazione della tecnica di base di partenza (es: assenza di sbilanciamento, l’avanzamento di una gamba anziché un’altra, ecc…).

5) Il Kaeshi- geiko è l’allenamento alle contro tecniche, il cui scopo è quello di acquisire sensibilità alla reazione di colui che attacca o meglio riceve l’energia (uke).
E’ l’anticamera dell’allenamento libero (randoru) che è lo stadio più elevato di studio. In pratica è uno stadio in cui due praticanti, generalmente molto affiatati, cercano di cogliere un punto debole durante l’esecuzione della tecnica del compagno. E’ un allenamento difficile, non privo di rischi di incidenti; per questo è praticato soltanto da studenti di grado superiore. Si parte da una tecnica di base e, se il compagno avverte un punto debole nell’esecuzione di questa, cerca di opporsi con un’altra tecnica adeguata. Occorre essere molto sinceri, perché bisogna resistere e reagire soltanto in caso di una reale imperfezione nella tecnica. In questa fase si abbandona la base, si praticano solamente le tecniche personalizzate anche se ogni tanto il praticante ritornerà ad allenarsi con i gradi inferiori praticando le tecniche di base nella maniera più precisa possibile, anzi soltanto adesso sarà pienamente cosciente della validità delle stesse.

6) Il Randoru-geiko (allenamento al movimento libero), da non confondersi con il RANDORI del judo è il fine di tutti gli altri tipi di allenamento.

Randoru vuol dire “libertà di azione” intesa come mancanza di regole (ran in giapponese vuol dire caos, ribellione), non esistono più tecniche di base, non esistono più ruoli (colui che attacca e colui che si difende), essi vengono interscambiati a seconda delle necessità.

( Rino Bonanno)

Corsi di Aikido

 

CORSI PER ADULTI

Lo studio dell’Aikido è accessibile a chiunque e a qualunque età.
L’insegnamento graduale e il profondo rispetto per ogni individuo crea l’ambiente ideale per permettere a ogni allievo di accrescere e sviluppare pienamente il potenziale fisico, mentale e spirituale.
Unendo in sé l’efficacia delle antiche tecniche di autodifesa dei samurai con l’eleganza e l’armonia del guerriero di pace, l’Aikido è una disciplina praticata senza distinzioni, sia da uomini che da donne.
L’Aikido non richiede né forza bruta, né capacità superiori alla norma. Ciò che conta sono il cuore, la dedizione e lo spirito di ricerca.
Il corso adulti prevede anche lo studio delle armi tradizionali: il bokken (spada di legno), il jo (bastone) e il tanto (pugnale di legno).
In accordo con l’intento del Fondatore O’Sensei Morihei Ueshiba, in questi anni l’Aikikai Napoli diretta dal M° Rino Bonanno si è impegnata a trasmettere a centinaia di allievi i nobili principi di rispetto per la vita ed il suo ambiente, guidandoli nella pratica dell’Aikido.
corsi sono aperti a tutte le persone che desiderano praticare un’arte marziale che offra loro sicurezza, coordinamento corporeo, equilibrio e centratura.

Praticando le eleganti tecniche marziali di fluidità motoria e di centratura psicofisica in un clima sereno (e giocoso per i più piccoli), si imparerà ad avere piena padronanza del proprio corpo e della propria mente e si acquisiranno sani principi quali l’armonia nel rapportarsi con gli altri e con il proprio ambiente.
Durante l’anno sono organizzati vari seminari in sede con diversi maestri provenienti
dall’Italia e dall’estero a scopo formativo. Inoltre il nostro Dojo A.S.D. Aikikai Napoli  è affiliata a “Progetto Aiki“, associazione nazionale che redige un calendario di stages tenuti in Italia da maestri italiani e stranieri tra cui alcuni gratuiti. I gradi sono riconosciuti dall’Hombu Dojo di Tokyo.